Lettera aperta ad Antonella Ferrari

Immagine di: Yehuda and Maya Devir | Comic Artist
Per quella donna...
E’ patetico e ridicolo aspettare l’8 marzo per festeggiare la donna, per di più quest’anno.
Io voglio solo celebrare la vita di ogni donna, in quanto tale, ma soprattutto ricordare tutte quelle donne che, dall’8 marzo del 2020, ce l’hanno fatta, che sono sopravvissute a quest’ultimo anno di vita.
A queste donne dedico il mio articolo, non sono donne inventate, io le ho incontrate.
Per quella donna, psicologa in pensione, da sempre impegnata nel sociale, che ad 84 anni suonati, fa ancora volontariato, per aiutare le altre a reagire.
Per quella donna il cui marito fa una “sosta extra”, ogni sera, dopo il lavoro; lei lo sa, ma lo aspetta, comunque, cullando l’illusione che cambierà.
Per quella donna che crede nella vita e piange la perdita di una gravidanza che nessun altro conosceva.
Per quella donna che guarda sempre avanti, anche se, proprio i suoi cari, marito e figli, vorrebbero farla tornare indietro, perché temono il suo percorso di libertà.
Per quella donna licenziata, per l’ennesimo ritardo, perché sveglia da troppo tempo, con un bambino autistico che non dorme mai.
Per quella mamma single, che già non sapeva come pagare le bollette di ogni mese, e, adesso, ha pure le spese in più, per il tablet ed i giga del figlio in dad.
Per quella donna che ha due lauree ed un master, ha provato e riprovato a partecipare a diverse selezioni del personale, nei test psico attitudinali è sempre la migliore, ma in sede di colloquio perde punti, perché, si sa, nell’ organigramma aziendale, “una donna in età fertile è un problema per la società”.
Per quella donna che ancora non si è perdonata per l’aborto avvenuto 20 anni fa, perché, per tutti in paese, se l’era cercata, e lei non ce l’ha fatta.
Per quella donna anziana, davanti a me al supermercato, ha comprato ali di pollo, passata e pastina, guarda gli altri e si vergogna, mentre conta le monete.
Per quella donna che apre la porta alla notizia della morte del marito, all’estero, tre settimane prima del suo ritorno a casa.
Per quella donna che soffre di ansia, mangia fino a scoppiare, ma nessuno capisce cosa la fa stare così male.
Per quella donna che dà alla sua famiglia tutta sé stessa, ogni giorno, ed avrebbe solo bisogno di una pausa.
Per quella donna che sorride agli estranei tutto il giorno in pubblico, ma piange silenziosamente ogni notte.
Per quella donna che voleva farla finita, ma ha trovato la forza per continuare.
Per quella donna che ogni notte dorme accanto ad uno sconosciuto, solo perché è pur sempre il padre dei suoi figli.
Per quella donna la cui genetica non le permetterà mai di sembrare alle altre, a quelle delle riviste, e non capisce quanto ci sia bisogno di lei, così com’è.
Per quella donna che sopporta una relazione interrotta dopo l’altra, perché nessuno le ha insegnato cos’è l’amore.
Per quella donna che alleva una figlia senza padre e prega che la storia non si ripeta.
Per quella donna che ama con tutto il cuore il vecchio padre malato d’Alzheimer e che ha un disperato bisogno di essere riconosciuta da lui.
Ecco, per queste donne ha senso festeggiare non un giorno, ma ogni giorno.
E mi piacerebbe pensare che, a partire da quest’anno, si incominci a festeggiare non la donna o l’uomo.
Ma la persona, in quanto essere pensante, libero, capace di agire e di reagire, di lasciare il segno, con la sua unicità.
Mi piacerebbe pensare che, imparando da questi nostri ultimi giorni non si divida più il genere umano in uomini e donne, ma in persone, di spessore e di valore da una parte, ed ignavi maschi o femmine che sia, (ma pur sempre amorfi ed insulsi) dall’altra.

Cara Antonella Ferrari, grazie!

Le tue parole mi hanno vista, la tua poesia mi ha invasa e dato voce perché sono tra quelle donne: sono proprio quella donna lì, in mezzo a tutte quelle persone che cercano di arginare e ridurre all’impotenza la violenza ignorante di piccoli maschi e femmine della specie.


L’ 8 Marzo è una data inventata a tavolino per ricordare le vittime dell’incendio scoppiato in una fabbrica della vecchia New York agli inizi del secolo scorso, dove persero la vita più di 100 operaie, costrette a lavorare chiuse a chiave. Erano gli anni precedenti l’emancipazione del femminismo, socialista prima e comunista in seguito, che cercava di affermarsi a Mosca nel 1921  istituzionalizzando “La giornata in memoria delle operaie”.

Solo il 16 dicembre 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 32/142, invitò gli Stati membri a dichiarare un giorno all’anno “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale”.


Ecco, vorrei concentrarmi su questo perché la pace non sia più una parentesi tra guerre e violenze di ogni genere e tipo, ma uno stato d’essere capace di fertilizzare l’unicità della persona e la sua imprescindibile libertà, prima di tutto d’espressione.

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